In tutte le culture l'ospite è sacro. Le forme più antiche di ospitalità gratuita erano già presenti presso le culture primitive, presso i Greci, i Romani,i Germani, gli Slavi, i Persiani, gli Indiani, gli Egizi, gli Ebrei e gli Arabi, in molte tribù dell’Africa, in Cina e in Giappone, fino agli Ainu del Pacifico e agli Indios delle Americhe.
L’ospitalità gratuita, proprio per il fatto di essere offerta senza alcuna ricompensa, comportava onerose spese e responsabilità, così che quasi dappertutto era limitata a due o tre notti e solo in casi particolari il padrone di casa poteva decidere di prolungarla.
L’ospitalità assunse quindi diverse forme: gratuita concessa da un cittadino a un cavaliere, case adibite appositamente a tale funzione e piene di ospiti; il mercante che occasionalmente riceveva gli stranieri facendo loro pagare tutte o solo una parte delle prestazioni offerte. Normalmente accadeva che l’ospite non ricevesse il vitto dal padrone di casa, portandoselo invece con sé o acquistandolo al mercato.
E anche a tavola l'ospite è una figura ben definita.
Ogni cultura ha il suo modo di stare insieme a tavola, a come servire e come consumare il cibo. In alcuni paesi come lo Sri-Lanka,il Senegal e il Bangladesh, viene offerto un bicchiere di acqua e se questo viene donato a ridosso del pranzo o della cena, conviene accettarlo perchè significa che hai accettato anche l'invito a rimanere a mangiare. Si mangia con le mani, seduti tutti insieme davanti ad una grande scodella dalla quale si attinge con la mano destra e non con la sinistra,che viene usata per la pulizia intima,quindi "impura". In alcuni casi sono solo le donne che stanno in cucina, in altri non è solo una prerogativa femminile. Gli alcolici vengono consumati dai non musulmani e lontano dagli occhi dei bambini.
Nel mondo greco antico, il termine Xenia riassume tutto il concetto dell'ospitalità che si basava su tre principi di base: il rispetto del padrone di casa verso l'ospite, il rispetto dell'ospite verso il padrone di casa e la consegna di un "regalo d'addio" all'ospite da parte dell'ospitante.
Io, in qualità di ospite e ospitante,ho un bellissimo ricordo di tutte le volte che ho ricoperto questa figura. Rammento con gioia tutte le persone che sono passate da casa nostra e che abbiamo avuto il piacere di omaggiare e coccolare condividendo la nostra tavola. E di tutte le volte che io sono stata omaggiata e coccolata. Ma quella che piu' mi sta a cuore e ricordo con un misto di venerazione e rispetto sono i momenti che abbiamo trascorso insieme ai nostri amici giapponesi di Hyogo,sia quando li abbiamo ospitati in casa nostra sia quando loro ci hanno ospitato in un caratteristico ristorante quando siamo andati a trovarli.
Un incontro casuale,nato su un vagone del treno 17 anni fa e che dura tutt'oggi.
La prima volta che sono venuti in Italia,un 15 agosto piovoso cosi' non l'avevo mai visto,ma nonostante tutto abbiamo girato Milano,con il mio cervello che fumava,si,perchè Seiji il marito non parla inglese,Etsuko la moglie lo parla un po',e il papà di lui,un anziano che solo a guardarlo ti sentivi un senso di rispetto e di timore di fare o dire qualcosa di sbagliato,ovviamente anche lui solo giapponese!Quindi Rino parlava a me in italiano,io traducevo in inglese a Etsuko che traduceva in giapponese a loro, e ritraduceva in inglese a me che traducevo in italiano a Rino.... una volta ripartiti parlavo e pensavo ancora in inglese!
E sono rimasti a bocca aperta per quello che avevo portato in tavola,per noi niente di che,per loro una vera scoperta,tant'è che dopo aver ringraziato ad ogni portata con un breve cenno di capo sul piatto, hanno scattato non so quante fotografie,chiedendo sempre il permesso di farlo!
E anche noi quando siamo stati in quel ristorante tipico,inginocchiati a terra,serviti da una donna in kimono,abbiamo passato dei momenti stupendi,che erano talmente carichi di rispetto e tradizione che anche a parlare tra di noi bisbigliavamo e dovrei scrivere "bisbigliando" sui tasti....Potrei parlare ore e ore dei momenti passati in quel magnifico paese......
Perchè tutto questo panegirco di parole? Per dire semplicemente che avevamo ospiti per un caffè due nostri amici,che sono molto attenti all'alimentazione, e Rino dice...perchè non prepari una torta di carote?
Detto fatto...anzichè la torta, tortine monoporzione che sono state spazzolate fino all'ultima perchè sono......erano di un buono ma di un buono!!
E per riallacciarmi al discorso iniziale,che l'ospite è sacro, mi viene spontaneo preparare per lui qualcosa di speciale,qualcosa che apprezza,per farlo sentire a proprio agio e ben accetto.Per questo quando vedo che apprezza tutto quello che ho preparato,magari impiegandoci anche tanto tempo,sono orgogliosa e soddisfatta,non per una forma di vanità o altro,ma perchè so di averlo reso felice e amato.
Per questo quando sono ospite porto sempre qualche cosa in regalo,magari preparato con le mie mani o una bottiglia di vino che so è particolarmente apprezzata....è una forma di ringraziamento e di affetto che si ha nei confronti di queste persone!
E con queste tortine è stato proprio cosi........
Ingredienti
400 g carote
100 g fruttosio
150 g farina di mandorle
70 g fecola
50 g farina bianca
4 uova
sale q.b.
Esecuzione
Mescolate la farina di mandorle con il fruttosio.Aggiungete le uova e montate fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Aggiungete la farina,la fecola e in ultimo le carote grattugiate e strizzate e amalgamate
delicatamente.
Versate il composto in stampini singoli (io di silicone) e fate cuocere a 175° per 50 minuti.
Lasciateli raffreddare e ricopriteli con zucchero a velo..............
ecco il morbidissimo e "carottoso" interno......
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